Onorevoli Colleghi! - La Via Appia (la prima che assume il nome del suo costruttore e non una titolatura legata alla sua funzionalità - Salaria - o alla sua direttrice - Tiburtina -), definita variamente come insignis, nobilis, celeberrima, regina viarum già in antico, è giunta fino a noi superstite in molti tratti grazie alla persistenza attraverso i secoli della sua funzionalità di grande direttrice di traffico da Roma verso il sud e segnatamente verso l'area campana. Nei pressi della capitale, poi, la presenza di catacombe e di ricordi delle sofferenze dei primi cristiani garantirono la frequentazione del tracciato anche in periodo medioevale senza soluzione di continuità.
      Già alla fine del Settecento e soprattutto nella prima metà del secolo successivo si pose mano a un poderoso restauro della strada da Roma fino ai Colli Albani, che vide tra i protagonisti anche Antonio Canova (a cui si devono alcuni monumentini per conservare in situ materiali scoperti nel corso del 1808) e che fu concluso nel 1851 da Luigi Canina. In questo quadro fu ripristinata con una grande costruzione settecentesca la stazione di tappa ad Medias (oggi il toponimo sopravvive nella località di Mesa) che segnava la «mezza» strada posta tra Forum Appi (oggi Fàiti) e Terracina. Quell'operazione significò la riproposizione e la riutilizzazione dell'antica direttrice come rinnovato asse portante del servizio postale in epoca papalina. Che poi tale asse mantenesse anche inalterato nel tempo il valore di principale ingresso alla città da meridione lo testimonia la sua utilizzazione da parte sia di Carlo V nel 1536, sia di Marcantonio Colonna nel

 

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1571, al tempo della celebrazione della vittoria di Lepanto, sia infine delle truppe alleate di liberazione nel secondo dopoguerra.
      La stesura della strada si deve ad Appio Claudio Crasso e Gaio Plauzio Venox, censori nel 312-311 avanti Cristo, e fu il portato delle guerre sannitiche concluse positivamente con l'acquisizione dell'ager campanus e quindi con la progressiva espansione di Roma verso le fertili aree meridionali.
      In realtà il primo tratto dell'Appia, fino ai Colli Albani, esisteva da tempi antichissimi, con un tracciato che partiva dal guado sul Tevere presso il futuro Foro Boario, attraversava la depressione ora del Circo Massimo e poi proseguiva fino alle Frattocchie (Bovillae): era il percorso che univa la Roma primitiva ad Alba Longa. La strada, nel pieno della seconda guerra sannitica, fu rettificata da Appio tra Roma, Bovillae e i Colli Albani e insieme prolungata fino a Capua (oggi Santa Maria Capua Vetere), fondamentale nodo stradale dell'Italia meridionale, attraverso le Paludi Pontine, Formia e Minturno.
      L'impresa costruttiva ha naturalmente in sé un grande valore topografico, ma rappresenta anche un'infrastruttura che si può ricondurre a una vera e propria «opera d'arte» nel senso tecnico-ingegneristico dell'espressione. Basti pensare al rettifilo da Roma ad Ariccia di 24 chilometri a quello da Ariccia a Feronia (appena a nord di Terracina) di ben 59 chilometri (tra i due rettifili lo scarto di inclinazione è comunque di appena 5o) e a quello tra Sinuessa e Capua di 30 chilometri.
      La strada fu prolungata (chilometri 49 = 33 miglia) fino a Benevento probabilmente dopo la vittoria su Pirro (275 avanti Cristo) e la fondazione della colonia nel 268 avanti Cristo.
      Da Benevento si potevano controllare le vie dirette ai passi per la Campania e la Puglia, nonché quelle appenniniche per il Sannio e la Lucania.
      Poco tempo dopo un altro tratto fu steso fino a Venosa (colonia dal 291 avanti Cristo) e infine, dopo la conquista di Taranto (272), le vittorie romane contro Salentini e Messapi degli anni 268-267 e la conseguente presa di Brindisi, l'Appia toccò quest'ultima città e così il mare Adriatico.
      La strada si configura così come un tracciato di conquista, che scandisce le tappe dell'avanzante controllo romano dello scacchiere meridionale dell'Italia e che prefigura una conseguente espansione economico-commerciale rivolta alle regioni del settore centro-orientale del Mediterraneo. In realtà la strada non dovette costituire, già in origine, un vero e proprio asse unitario, anche in considerazione delle diverse fasi della sua stesura, né essere il percorso più breve per il collegamento con il capolinea brindisino. Dovette piuttosto rappresentare una strada che potremmo definire comprensoriale, la quale, pur avendo precisi capilinea, tuttavia innervava con i suoi possibili diverticoli un territorio molto vasto. In tale quadro si capiscono meglio le motivazioni che portarono Traiano, nel 109 avanti Cristo, a creare una deviazione da Benevento a Brindisi attraverso Canosa ed Egnatia (Via Appia Traiana) ricalcando il più antico percorso della Via Minucia.
      Ora, proprio la Minucia rappresentava uno di quei diverticoli od opzioni viarie di cui si è appena fatto cenno e in proposito già gli antichi (Orazio, Ep., I, 18, 20) si domandavano se la Via Minucia fosse preferibile all'Appia per andare a Brindisi. Domanda che trova una naturale risposta nelle parole del poeta latino che sceglie di percorrere la Minucia nel suo viaggio in delegazione ufficiale da Roma a Brindisi dell'anno 37 avanti Cristo.
      La strada è citata per la prima volta da Cicerone (ad Att., IX, 6, 1) e da Strabone (VI, 3, 7, C282), che la definisce una sorta di mulattiera: «Ci sono due vie che partono da Brentesion (Brindisi): la prima è una mulattiera che passa attraverso il territorio dei Peucezi (...) e poi attraverso quello dei Dauni e dei Sanniti fino a raggiungere Beneventum. Su questa via ci sono le città di Egnatia, poi Celia, Netium, Canusium ed Herdonia. L'altra via, che
 

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passa per Taranto, volge un po' a sinistra, allungando l'itinerario di circa un giorno. È chiamata via Appia ed è maggiormente praticabile per i carri; su di essa ci sono le città di Uria e di Venusia: la prima fra Taranto e Brentesion, l'altra sul confine fra territorio dei Sanniti e quello dei Lucani». Mi pare che queste parole del geografo greco ben corrispondano a quella realtà comprensoriale a cui si è fatto cenno, che addirittura viene quasi circoscritta dalle due Appie, una volta che Traiano stabilizzò la Minucia, monumentalizzando il suo punto di partenza da Benevento con un arco grandioso.
      Ai giorni nostri della Via Appia di Appio nulla resta, se non la direttrice complessiva del tracciato, dal momento che molti rifacimenti già in epoca romana intervennero in fasi successive. Le più antiche strutture riconoscibili sono state attribuite al II-I secolo avanti Cristo, mentre quelle più evidenti oggi sono da riferire al tempo di Nerva e soprattutto di Traiano. Tuttavia anche Costantino dovette potenziare la grande Via con l'intenzione di migliorare, attraverso l'Appia e la Via Egnatia, i collegamenti tra Roma e Costantinopoli. Infine altri rifacimenti nel tratto presso Terracina sono ricordati a opera di Teodorico.
      La Via Appia tra Velletri, i Colli Albani e Roma attraversava un territorio che era considerato suburbano, ma c'è da dire che l'area «metropolitana» era riconosciuta estendersi fino a Terracina.
      Nel tratto vicino a Roma la strada era lastricata in dura pietra nera, basaltica, che proveniva dalle cave dei Colli; ugualmente, per gli altri tratti del percorso, le pietre (in particolare il calcare) erano reperite in cave locali.
      Nell'attraversamento delle Paludi Pontine il tracciato era affiancato da un canale navigabile che funzionava anche da opera di drenaggio necessaria in un ambiente umido che mantenne le sue caratteristiche pressoché fino ai giorni nostri. Un canale utilizzato per il trasporto di viaggiatori che così, come ci informa Orazio (Serm., 1,5), consentiva di percorrere con meno fatica che a dorso di mulo un bel tratto di strada, pur con gli inconvenienti di un traghetto sempre affollato di gente non proprio sobria.
      La larghezza dell'Appia era di poco più di 4 metri (= 14 pedes circa), una misura che consentiva facilmente l'incrocio di due carri; i crepidines o margines erano larghi circa 3/4 metri, ma la misura poteva variare notevolmente secondo l'area che si attraversava.
      Così Procopio (Bell. Goth., XIV, 6-11) descrive le caratteristiche «tecniche» di un tratto dell'Appia tra Roma e Capua: «Dopo aver levigato le pietre, averle spianate con molto lavoro e averle tagliate in forma poligonale, egli [Agrippa, secondo Procopio, ma in realtà egli vedeva il rifacimento traianeo] le unì tra loro senza inserire né calce, né altro. Sono tuttavia così ben connesse e senza interstizi che sembra a chi guarda che le pietre non siano state giustapposte le une vicine alle altre, ma che formino per natura un insieme omogeneo».
      Un viaggiatore comune poteva percorrere 25/30 miglia al giorno (37/44 chilometri: i 530 chilometri da Roma a Brindisi, pari a circa 360 miglia, furono percorsi da Orazio in missione ufficiale (Serm., I, V) in 16 giorni, con una media di 22/23 miglia giornaliere. Catone tuttavia (Plut., Cato maior, 14, 4) riuscì a percorrere la stessa distanza in 5 giorni, con una media pertanto di 72 miglia al giorno (106 chilometri).
      C'è da ricordare che il primo tronco di strada tra Roma e Capua, attuale Santa Maria Capua Vetere, (colonia romana nell'83 avanti Cristo, acquisisce la cittadinanza optimo iure nel 58) fu teatro di macabre scenografie. Assai famosa in questo senso fu l'insurrezione della scuola gladiatoria capuana condotta da Spartaco nel 73 avanti Cristo e conclusasi tre anni dopo con la crocefissione di seimila schiavi proprio sulla via Appia tra Roma e Capua (una croce ogni 30 metri C pedes per CXXXII milia passuum 196 chilometri).
      La presente proposta di legge è composta da sette articoli: l'articolo 1 dove si riconosce importanza dell'antico percorso della Via Appia, l'articolo 2 con il quale si
 

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istituisce il parco archeologico della Via Appia, l'articolo 3 che istituisce la Fondazione che gestirà il parco archeologico, l'articolo 4 che istituisce il fondo speciale presso il Ministero per i beni e le attività culturali, l'articolo 5 che regola l'accordo di programma, l'articolo 6 che regola i contributi a carico del fondo speciale e l'articolo 7 che definisce la copertura finanziaria.

 

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